CINA&ITALIA
di Plinius
Nella giornata del primo di luglio 2021 si è celebrata l’assemblea di Assolombarda presso i capannoni (vetusti ma in sicurezza’) della ex Falck di Sesto San Giovanni (Mi). Luogo mitico, fucina del siderurgico dal 1906, arrivò ad occupare un’area di quasi un milione di metri quadrati (!!!), per poi progressivamente andare a spegnersi negli anni ’80 e ’90. L’assise degli industriali lombardi, quindi, ha avuto luogo in un monumento dell’industria milanese, lombarda, italiana.
Ma cosa è adesso l’industria italiana ? Quali sono i veri interessi degli industriali italiani del 2021, ci sono ancora in essi quell’anima e quello spirito di capitani d’industria che tanto hanno dato lustro, prestigio e sviluppo alla società del nostro Paese ?
Occupando progressivamente una enorme massa di lavoratori, in tutto il Paese, principalmente al nord.
Quello spirito corporativo (si, quello) anima ancora le grandi famiglie dell’imprenditoria nazionale ?
Quel senso di responsabilità e del dovere che ha acceso gli animi dei nostri imprenditori, fin dagli anni ’20, alberga ancora nei cuori dei loro eredi ? O dei nuovi imprenditori nati negli anni più recenti. Sempre il primo luglio, casualmente lo stesso giorno, si è celebrato a Pechino, l’anniversario di nascita del Partito Comunista Cinese. Il dragone cinese che, in nome di un utopico benessere diffuso, si è aperto, sguaiatamente, al capitalismo più sfrenato, riducendo la stragrande maggioranza dei propri cittadini ad uno stato di reale povertà assistita. Dispiace constatare che gran parte del risparmio privato italiano, perciò in larga parte detenuto dalle grandi famiglie imprenditoriali, sia investito, e pesantemente, nel mercato e nell’economia cinese, attraverso fondi di investimento e speculativi. Non solo. Anche i quattrini dei fondi pensione delle professioni del nostro Paese sono investiti nell’economia cinese. Direttamente o, senza saperlo (!!!), indirettamente. Fondi, fondi di fondi, hedge found, mercato monetario, opzioni. Da qui il continuo impoverimento delle piccole e medie attività italiane, snobbate per la maggior parte dagli
investitori e di conseguenza indeboliti dal mercato, a favore dell’espansione verticale delle attività cinesi. Di ogni settore, dalla tecnologia al cibo (o food come dicono i modernisti). Il risparmio italiano quindi non favorisce e non aiuta la nostra economia nazionale, l’economia reale, ma finisce inesorabilmente per ingrassare quella cinese.
Mala tempora currunt.