La nostra Repubblica

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di G. Ciarcia

Fermamente repubblicani quelli come noi lo sono sempre stati, e non dal 1946, nemmeno dal 1943, bensì dal 1919.
Per ovvi motivi poi il movimento politico e rivoluzionario che ci ha rappresentato nella prima metà del secolo scorso è dovuto scendere ad inevitabili “compromessi” se così possiamo definirli, in circostanze in cui (come ci ricordava ultimamente anche il compianto Giorgio Albertazzi) realizzare nell’immediatezza una “rivoluzione permanente” sia pur da noi auspicata poteva apparire come una chimera.
Il progetto originario sarebbe stato realizzato tra i limiti della guerra e dell’occupazione nemica, soltanto più tardi nel 1943; e proprio da lì noi vogliamo ripartire.
Ripartire da lì però vuol dire volare alto, e noi sia pur di natura repubblicana non ci sentiamo di rispecchiarci in questa debole Repubblica Italiana a sovranità limitata nata dall’antifascismo e dalla “resistenza”, identificata in una carta costituzionale scritta “sotto il tallone” dell’occupazione anglo-americana. Sicuramente ne vogliamo rispettare rigorosamente le leggi e le istituzioni che questa si è data, da persone civili quali siamo e siamo sempre stati; nonché per continuare la battaglia politica nello spirito testamentario tralasciatoci da chi noi sappiamo, ma non è certo questo il modello di Italia e di Repubblica che desideriamo.
Una Repubblica Italiana quella attuale dove a dispetto di quello scritto nel primo articolo della propria carta costituzionale, parlare di lavoro, di dignità del lavoro e di rispetto per il mondo del lavoro equivale a perdersi in “voli pindarici”.
Noi altresì sogniamo una Repubblica Italiana veramente libera e sovrana nel suo orgoglio nazionale, una Repubblica veramente incentrata sulla posizione prioritaria del Lavoro nei confronti del capitale, una Repubblica veramente partecipativa, una Repubblica di cui il seme è già stato gettato, una Repubblica Sociale!

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