Decreto Flussi, il nulla governativo
di Giorgio Franchi
Apprendo che il governo “sovranista” ha approvato in via definitiva il nuovo decreto flussi. Appena avrò preso visione di tutto il testo della legge mi riservo di tornare sull’argomento, cosciente però del fatto che la canea fra destra e sinistra corrisponde essenzialmente alla parte teatrale che vuole una dialettica accesa fra gli schieramenti degli emicicli, giusto per far credere che le istituzioni, nella maniera in cui sono strutturate oggi, abbiano ancora una rappresentatività e un potere decisionale effettivi. Mi si consenta di affermare che attualmente il problema non risiede nel fatto che vi siano o meno i centri per l’identificazione in Albania, che venga aggiornata la lista dei paesi ritenuti sicuri, che vengano tarpate le ali alle mitiche cooperative fucsia e bianche che dell’accoglienza, piuttosto il problema risiede nel fatto che la politica ha deciso di essere mera esecutrice di interessi facenti capo al grande capitale. Mi spiego meglio partendo da alcune semplici considerazioni che sfido chiunque a contestare: 1) l’immigrazione crea dumping salariale: già Karl Marx nella seconda metà dell’ottocento ravvisò che il capitale industriale volutamente incoraggiava l’immigrazione in modo creare un eccesso di domanda rispetto all’offerta, il famoso “esercito industriale di riserva” atto ad abbassare qualitativamente e quantitativamente i salari dei lavoratori; nulla di più e nulla di meno che l’applicazione del rapporto domanda/offerta tipica del sistema capitalista ma applicata alla merce “forza lavoro”. A ciò si deve aggiungere un altro dato quali/quantitativo: l’entrata nell’euro con l’applicazione del cambio euro 1 = L. 1.936,27 ha prodotto un aumento del costo della vita, a cui si sommano manovre afferenti le politiche del lavoro (“bipartisan” ci teniamo a sottolineare) che hanno prodotto una diminuzione del potere d’acquisto: in poco più di 30 anni, i salari in Italia sono diminuiti mentre sono cresciuti in Germania, Francia e Spagna, per l’esattezza tra il 1991 e il 2023, i salari italiani segnano un calo di 1.089 euro. 2) l’immigrazione crea dumping sociale: il famoso ritornello “gli immigrati ci pagano le pensioni” caro tanto alla sinistra quanto alla destra liberista non sta semplicemente in piedi. Come potrebbero pagare le pensioni? Secondo i dati ISTAT il 30,4% degli immigrati vive in povertà assoluta ed il 32% in povertà relativa, quindi il dato aggregato propone un 62,4% di stranieri che verosimilmente drena ricchezze dallo stato sociale lasciando indietro tutta quella fetta di italiani sempre meno esigua leggermente meno povera: case popolari, asili nido e prima infanzia, aiuti al pagamento delle utenze, ecc. 3) l’immigrazione è arricchimento: mi si passi l’arditismo: trattasi di una boiata sesquipedale e di proporzioni titaniche. Partiamo dal presupposto che deve essere stralciato il concetto di integrazione (tipico solo del mondo occidentale) a cui si deve invece sostituirsi il concetto di assimilazione, in altre parole si deve richiedere una piena adesione dell’immigrato ad usi, costumi e valori della nazione. Solitamente una condizione preliminare affinché ciò avvenga è la capacità dello straniero di metabolizzare quanto sopra indicato; maggiore è il grado di istruzione e maggiore è la capacità di successo. Purtroppo l’Italia ha il poco invidiabile primato di emigrazione di manodopera altamente specializzata e qualificata e l’immigrazione di individui a bassa scolarità e infima professionalizzazione. Citando l’impietosa analisi ISTAT: “ Nel 2023, il grado di istruzione degli stranieri è ancora inferiore a quello degli italiani, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni. Il 48,9% degli stranieri tra i 15 e i 64 anni ha conseguito al più la licenza media, contro il 35,6% dei coetanei italiani; il 40,1% ha un diploma di scuola superiore e il 11,1% una laurea, a fronte, rispettivamente, del 44,3% e del 20,1% degli italiani della stessa fascia d’età. Le differenze sono più evidenti per le classi di età più giovani e tendono a diminuire al crescere dell’età: la quota di laureati tra i 25 ei 34 anni è pari a 12,7% per gli stranieri e al 33,4% per gli italiani, mentre, tra i 55 e i 64 anni, le percentuali si avvicinano attestandosi, rispettivamente all’ 11,1% e al 13,4%.”. L’arricchimento dove sta? A me sembra invece che ci siamo messi in casa soggetti non dico neppure vagamente assimilabili, ma neppure integrabili che in prospettiva covano un malcelato disprezzo verso i nativi e la società italiana; paradossalmente ancora più evidente nelle seconde e terze generazioni. Ribadisco: può esistere l’assimilazione dei meritevoli e dei capaci ( per favore tralasciamo certe suggestioni tipiche della prima metà del 900), non l’integrazione generalizzata. Merita un discorso a parte, che eventualmente mi riservo di trattare separatamente con dati ufficiali, è il rapporto criminalità / immigrazione. Qualche grossolano sofista potrebbe argomentare che quanto affermato non corrisponde al vero, ridiamo; a questo punto però sorge una domanda che aiuta anche a fare la quadra del cerchio: considerando che l’Italia è in recessione conclamata, considerando il tasso di occupazione dei cittadini comunitari è pari al 63,8%, quello degli extracomunitari è pari al 60,7%, che bisogno vi era dell’ennesimo decreto flussi se non produrre dumping sociale, salariale e incertezza negli italiani in favore del grande capitale industriale? Si badi bene che l’immigrazione non è la malattia ma un sintomo della malattia chiamato capitalismo che, per mera e semplice deduzione, dovremmo comprendere la validità e la giustezza della cosiddetta “Terza Via” o, se proprio vogliamo usare il termine tecnico, corporativismo inteso come accordo fra borghesia produttiva e classi lavoratrici. Attualmente solo il Movimento Sociale – Fiamma Tricolore indica specificatamente la “Terza Via” come strumento di riedificazione della nazione.
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